Carpe diem

Estate

Una luna – civetta, rosa pallido, giocava a nascondino dietro le nuvole. Come in quei tempi, era insensibile al fluire degli eventi terrestri. Tuttavia, la sua influenza era notevole sulle maree e la crescita delle piante…

Ma c’erano legami eterni e impercettibili fra il pianeta e la sua luna. Osvaldo se n’era accorto da tanti giorni e numerose notti di caldo: quando la luna mostrava solo la sua coppa di luce d’argento, sembrava che bevesse golosamente tutta l’acqua del cielo…

In questa sera di fine estate, la città, come un’isola schiacciata dal caldo, guardava passare da lungo tempo le nuvole che lasciavano cadere solo qualche goccia di speranza nel cuore degli Uomini.

Niente pioggia da tante settimane… per causa dell’aridità della terra, la vegetazione soffriva. Troppo caldo, troppa siccità annunciavano un’avvenire più brutto, giorni e notti di privazione per tutta la famiglia. Osvaldo vedeva già i figli più magri e la moglie Giacomina sempre più permalosa.

Però, da qualche giorno, una cosa particolare aveva attratto la sua attenzione: il livello del bacino dei nenufari dov’erano le carpe più belle della città, orgoglio di questo giardino. Le une di un rosso arancione fulgido, le altre più giovani, di un rosso madreperlaceo… senza dimenticare la più paffuta, con le sue pinne spiegate come un velo da sposa, maestosa e quasi bianca, conosciuta da tutti i bambini del parco florale.

Ormai tutto era diverso: tra le larghe foglie che ondeggiavano alla superficie di un’acqua anormalmente bassa, tante bocche di pesci cercavano disperatamente l’ossigeno. Il canalettto che alimentava il lago era quasi a secco. Altri pesci erano in superficie, la pancia in aria.

– Cosa aspettano gli operai del parco ? pensava Osvaldo.
– Dovrebbero buttare acqua nel bacino ! Certo, ma dove potrebbero prendere quest’acqua ? Secondo ogni evidenza, alla fontana  ! Qualche tubo sarebbe sufficiente a portarla. Bah, fra poco, anche la fontana non avrà piu acqua ! Allora, non ci sarà niente da fare, concluse Osvaldo.
– Le carpe stanno per morire ! Devi assolutamente salvarle ! gli disse una piccola voce.
Dentro la sua testa, un motorino si mise a girare, sempre più veloce: che cosa farne ?

In questa notte elettrica che tetanizzava tanto gli uomini come le bestie, finita la giornata di lavoro, Osvaldo tornava a casa in bicicletta come al solito, un’ idea in testa… ben deciso a « salvare » le carpe.
– Bah, pensava, se non agirò subito, moriranno tutte.

Ma dopo un secondo di riflessione:
– Quella là, che bel piatto farebbe ! Potrebbe rallegrare la famiglia. Sì, un bel piatto, colle erbe.

Aveva davanti agli occhi queste meravigliose carpe arrosto. Sentiva già il loro squisito profumo, e quasi in bocca il loro succulente sapore.

Però, mangiarne, non era l’unico suo progetto: nutrirle, allevarle costerà poco ! Venderle frutterà un bel pò ! Tutto gli parve chiarissimo. La sua vita prendeva il senso del suo destino. Vedeva già Giacomina con vestiti nuovi, sua figlia coperta di gioielli colorati, i figli calzati di scarpe da calciatori. E così fantasticando, sognava alla ricetta della mamma.

– Tornerai di notte ! gli sussurrò la stessa piccola voce.

Arrivato a casa, ne parlò a Giacomina e ai figli. Tutti esaltati, cercarono soluzioni a diversi problemi. Giacomina si era fatta una messa in pieghe e aveva una reticella sulla testa per mantenere i bigodini.

– Dammi la tua reticella ! disse Osvaldo a Giacomina.
– Pierrino, trovami un pezzo di filo di ferro con un manico di scopa !

L’industrioso Osvaldo ne fabbricò un piccolo guadino. Tutti si misero a riflettere.

– Ce n’è una buona dozzina da salvare… come trasportarle ? Come nasconderle per ingrassarle un pò ?
– A casa ? impossibile !
– Sulla terrazza ? Non c’è acqua ! Solo un vecchio mastello che basterebbe per una notte.
– E nella cisterna della ditta ? sì, nella cisterna della ditta !
– Benissimo per portargli il cibo !
– Facciamo così ! I figli potrebbero andare a erbe, ricuperare rifiuti di verdura, acchiapare mosche, insetti…

Cosa detta, cosa fatta !

Quando tutta la città fu addormentata, ecco Osvaldo sulla bicicletta, carico del gran catino, del guadino, del capello di paglia e d’una casseruola, tutto messo in un vecchio sacco di iuta legato sulle spalle, con la cintura di cuoio. In silenzio senza luce, l’equipaggio s’allontanò nella notte…. pronto a « salvare » le carpe.

Eccheggiò un clacson urlante, l’autobus arrivò su di lui. Ebbe appena il tempo di buttarsi da parte col cuore in gola. Era l’autobus della ditta che tornava dopo aver portato gli operai che lavoravano di notte.

– Alt ! Stop !

Un flash di luce gli colpì il viso. Osvaldo si fermò di fronte a Vigipesca, un uomo che non gli piaceva molto perché da agente municipale, faceva l’arrogante.

– S’identifichi  ! Documenti  !
– Osval…do !
– Avrà occhi di civetta  per andare così senza luce ? Che contiene questo sacco ?
– Boh… un pò di roba…

Per fortuna Osvaldo non aveva ancora catturato i pesci.
– Nient’altro ? Bene ! Va via !

Osvaldo partì in fretta e furia a catturare le carpe più belle. Tornato a casa, le nascose nel mastello che stava sul tetto del condominio. Era già pieno d’acqua chiara portata dai figli.
Aveva previsto di sistemare l’indomani queste carpe nella cisterna della ditta.

Però la fortuna non aiuta sempre gli audaci. Di notte, il temporale tanto sperato scopiò sulla città. Tuoni, lampi, fulmini durarono quasi tutta la notte, seguiti da una pioggia dirotta.

L’indomani , Osvaldo se ne andò frettolosamente sul tetto. Un vero disastro ! Il mastello era traboccato, i pesci intorno … ma solo quelli che rimanevano dopo la festa golosa dei gatti e degli uccelli che dormivano tranquilli, pancia piena e sogni d’oro…